Articolo di Ottorino Pagani:
” Non disturbate i “manovratori”.
Favorire le Comunità Energetiche Rinnovabili, che devono avere come attività primaria il perseguimento di obiettivi sociali e ambientali, dovrebbe essere una priorità nazionale per i riflessi che hanno sulla sostenibilità e indipendenza energetica del Paese. Ci sono però aspetti della complicata normativa italiana che limitano molto le possibilità di queste “aggregazioni” di diventare veri soggetti attivi nell’infrastruttura energetica del futuro. Per incentivare le CER il legislatore italiano ha previsto interventi che sembrano condizionati dall’intento di mantenere lo status quo del mercato elettrico piuttosto di costruire nuovi soggetti, a beneficio degli utenti e del Paese. Di seguito alcune considerazioni sugli “interventi per non disturbare i manovratori” previsti dal Decreto.
-Si incentiva l’autoconsumo virtuale, per cui si congela tutto il sistema distributivo e funzionale del mercato elettrico, in modo da essere certi che in qualche modo le CER non possano trasformarsi in concorrenti degli attori del mercato a monte. Le linee sino ai contatori e i contatori all’interno della Comunità Energetica rimangono in carico ai distributori attuali. Anche le bollette ai membri delle CER rimangono invariate, salvo la riduzione in bolletta ai “prosumers” per l’energia da loro stessi auto-consumata. È una soluzione che sembra mediaticamente attraente: come infrastruttura di rete non devi cambiare niente, i membri che aderiscono a una CER non devono fare nulla, salvo eventualmente contribuire all’acquisto dei generatori rinnovabili. (Ovviamente dovranno fare bene i conti per capire in quanto tempo si rientra dell’investimento).
-La tariffa incentivante tende a scoraggiare impianti con maggiore potenza: la tariffa riconosciuta dal Gse per 20 anni dalla data di entrata in esercizio di ciascun impianto FER (Fonte Energetica Rinnovabile) è composta da una parte fissa e da una parte variabile; la parte fissa è funzione inversamente proporzionale della taglia dell’impianto, precisamente: 80 Euro/MWH per potenze inferiori a 200 KW – 70 Euro/MWH per potenze comprese tra 200 e 600 KW – 60 Euro/MWH per potenze superiori ai 600 KW. Inoltre, tutti gli impianti alimentati da fonti rinnovabili (dunque non solo il fotovoltaico) devono avere potenza non superiore a 1 MW; cioè devono essere impianti inferiori alla “utility scale” che permetterebbe una riduzione dei costi dell’energia. Infatti, i piccoli impianti fotovoltaici hanno un costo di generazione dell’energia più che doppio di quello degli impianti a terra. Ne risulta che dei 3 GW di rinnovabili installati nel 2022, 2 GW siano stati piccoli impianti, e che dei 6 GW che stimiamo installati nel 2023, più di 4 GW sono piccoli impianti.
-Oltre alla parte fissa della tariffa incentivante che decresce con la potenza dell’impianto, anche la parte variabile viene indicata nel decreto con un’altra funzione inversamente proporzionale: max (0 ; 180 – Pz), dove Pz è il prezzo zonale orario dell’energia elettrica. Cioè, se il prezzo dell’energia cresce l’incentivo si riduce e si azzera se supera i 180 Euro/MWH, quindi se il prezzo sale a causa di qualche situazione geopolitica legata ai combustibili fossili (nel 2022 la media è stata di 302 Euro/MWH) si riduce anche l’incentivo. Per quale motivo si penalizzano gli investitori delle rinnovabili in queste situazioni?
-Gli interventi sono circoscritti nel valore e nel tempo e sono finanziati da tutti i cittadini: per le tariffe incentivanti è previsto un costo di 175 milioni di euro all’anno, per un totale di 3,5 miliardi di euro in 20 anni, finanziato con la componente Asos della bolletta. Per i contributi in conto capitale a CER e Autoconsumo collettivo, i fondi – pari a 2,2 miliardi di euro in 20 anni – verranno dal PNRR. Le tariffe per le CER e autoconsumo saranno concesse fino alla fine del 2027, oppure al raggiungimento della capacità di 5 GW. Il contributo a fondo perduto per le CER nei piccoli comuni scadrà a dicembre 2025, compatibilmente con le scadenze fissate dal PNRR.
–Le “aggregazioni” sono costituite prevalentemente da utenze non energivore: le CER possono essere costituite da cittadini, piccole e medie imprese, enti territoriali e autorità locali, incluse le amministrazioni comunali, le cooperative, gli enti di ricerca, gli enti religiosi, quelli del terzo settore e di protezione ambientale. Sono escluse le grandi imprese che possono far parte di un gruppo di auto-consumatori rinnovabili: queste configurazioni sono equivalenti alle Comunità Energetiche per le agevolazioni, ma richiedono che gli aderenti siano nello stesso edificio. Cioè, i “grandi clienti” resteranno appannaggio dei soliti attori del mercato elettrico.
-Infine, manca una visione chiara e chiaramente esplicitata di dove si vuole andare a finire, di quale sia il punto d’arrivo delle Comunità Energetiche nell’infrastruttura del futuro. Sotto sotto siamo arroccati alla difesa cavillosa della “riserva” delle concessioni ai distributori, la cui salute economica va certamente salvaguardata, ma senza penalizzare irragionevolmente gli utenti.
La strategia attuale sembra essere: bisogna favorire le rinnovabili e bisogna dare attuazione alle norme europee, ma questo non deve mettere in discussione gli equilibri di potere del mercato elettrico. In questo modo non si farà molta strada, e sarebbe molto miope accontentarsi del “meglio che niente”. La politica dovrebbe imporre un cambio lungimirante, per esempio rompendo qualche tabù e autorizzando (e, anzi, incentivando) la realizzazione di vere “Comunità Energetiche Municipalizzate” che risolverebbero brillantemente la necessità di avere una generazione elettrica diffusa sul territorio, garantendo la partecipazione attiva dei cittadini e un meccanismo strutturale di coinvolgimento degli enti locali su questa priorità nazionale. In questo contesto, queste Comunità potrebbero avere anche un ruolo primario nel contrasto alla “povertà energetica”, destinando parte dei benefici economici a famiglie e soggetti in condizioni di vulnerabilità energetica.”