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Babel di Z.Bauman e E.Mauro

Ho imparato a conoscere Z.Bauman  con il libro "Voglia di comunità" e poi con "il demone della paura", ora con Babel, scritto con E.Mauro ho cercato di comprendere la sua lettura di un tempo contemporaneo indecifrabile e babelico. A partire dalla consapevolezza che la democrazia ( che avevamo conosciuto) non è più la stessa e che  non basta a se stessa. Ma lascio all'editore una presentazione più sintetica e puntuale della mia:

"Viviamo in mare aperto, sotto l'onda continua, senza un punto fermo e uno strumento che misuri il peso e la distanza delle cose. Nulla sembra stare più al suo posto, molto sembra non avere più un suo posto. Non vediamo la direzione di marcia, così solchiamo un territorio sconosciuto, in ordine sparso. I principi che hanno sostanziato l'ethos repubblicano, quel sistema di regole che ha orientato i rapporti di autorità e le modalità della loro legittimazione, i valori condivisi e la loro gerarchia, fino ad arrivare al nostro comportamento e ai nostri stili di vita, devono essere ripensati alla radice perché non sembrano più adatti all'esperienza e alla comprensione di un mondo che ha subito la più travolgente dilatazione spaziale e al contempo l'inedita connessione globale."

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Lettera a una professoressa

Lettera a una professoressa di Lorenzo Milani
Curatore: Scuola di Barbiana
Editore: Libreria Editrice Fiorentina
Collana: Scuola familiare
Anno edizione: 1996
Pagine: 166 p., Brossura

In qualunque modo sia stata letta o riletta La lettera a una professoressa io la lessi, insieme a tanti miei coetanei, come la denuncia di una scuola di classe e la proposta semplice di una scuola antiautoritaria. Per questo ne consiglio comunque la lettura -senza mitologie e senza ritrosie con l'avvertenza di una contestualizzazione nell'Italia di allora. Era il 1967. Certo non mancano i motivi di una lettura critica, come ha fatto Sebastiano Vassalli, ma io penso che i meriti di fondo di quel testo siano ancora tutti presenti.
D'altro canto non si può certo dire che il cinquantesimo anniversario della morte di don Lorenzo Milani e dell’uscita di Lettera a una professoressa sia passato sotto silenzio. La pubblicazione delle opere complete insieme a celebrazioni, articoli, polemiche talvolta pretestuose e perfino un pellegrinaggio di papa Francesco – ci ricorda che la figura del priore di Barbiana ancora brucia.

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il pane di ieri

«Il pane di ieri è buono domani», dice per intero il proverbio.

Con la bussola di queste parole Enzo Bianchi racconta storie e rievoca volti della propria esistenza: il Natale di tanti anni fa e la tavola imbandita per gli amici, il suono delle campane nella veglia dell'alba e il canto del gallo nel silenzio della campagna, i giorni della vendemmia e la cura dell'orto, il pane,il vino.
Il cibo, a ben guardare, oltre che un nutrimento necessario è anche qualcosa di cui si deve «aver cura». La tavola è luogo di incontro e di festa e la cucina è un mondo in cui si intrecciano natura e cultura.

A dispetto di ogni localismo (anche culinario) tutti i cibi infatti, anche i più nostrani, sono carichi di debiti con l'esterno e con chi, in terre lontane, ha coltivato le materie prime, le ha fatte crescere e le ha raccolte.
Ogni racconto è la tappa di un cammino sapienziale che parla dell'amicizia, della diversità, del vivere insieme, dei giorni che passano e della gioia.
Della vita di ogni uomo in ogni tempo e terra del mondo.Dentro ciascuno di questi ricordi, e in tutti quelli che compongono il libro, c'è un senso esatto della vita in cui la memoria personale e individuale sfuma nella storia universale o meglio, senza forzature, si fa memoria collettiva.
Storie piene di amore per la terra. E insieme rappresentano insegnamenti di fede, di amicizia, del vivere insieme, dell'ospitalità. Meditazioni sulla vita, sulla morte, sulla gioia, sulla vecchiaia, e sulla ricchezza della diversità.

Vi si riscopre la semplicità e la profondità della vita, di ognuno di noi. Un

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ieri e domani

Un libro che conserva una straodinaria attualità.

"Filo conduttore di questa raccolta di saggi di Alfredo Reichlin è la convinzione che la sinistra debba uscire dalla difensiva per misurarsi con le nuove sfide, i nuovi problemi e nuovi bisogni delle generazioni che si affacciano al nuovo millennio. "I partiti non si inventano", dice Reichlin, ma si affermano come forza reale, e non come semplici apparati elettorali, se corrispondono a una funzione storica, a un bisogno di fondo del proprio tempo e del proprio paese. Se 'fanno storia'.
Ecco allora l'interrogativo: come può una nuova sinistra 'fare storia' nel mondo globale e a fronte di poteri nell'economia, nella finanza, nella scienza, nell'informazione, che sovrastano di gran lunga il potere dei vecchi Stati nazionali, dei sistemi politici, delle regole e dei meccanismi che hanno finora garantito diritto e doveri? Queste sono 'riflessioni di un comunista italiano', come si definiva con una punta di civetterie Alfredo Reichkin, precedute da una prefazione di Giorgio Ruffolo e seguite da un commento di Enzo Siciliano. Reichlin ha diretto "l'Unità" e "Rinascita", è stato per vent'anni in Parlamento, ed anche  vicepresidente della Fondazione Italianieuropei."

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La lingua batte dove il dente duole.

Appena ripubblicato in edicola, con il quotidiano La Repubblica ma rintracciabile anche in libreria, è una splendida conversazione sulla "lingua italiana" tra il grande linguista appena scomparso Tullio De Mauro e lo scrittore Andrea Camilleri. Fortemente consigliato. Di seguito la presentazione della casa editrice Laterza.

"Il dialetto è sempre la lingua degli affetti, un fatto confidenziale, intimo, familiare. Come diceva Pirandello, la parola del dialetto è la cosa stessa, perché il dialetto di una cosa esprime il sentimento, mentre la lingua di quella stessa cosa esprime il concetto. A me con il dialetto, con la lingua del cuore, che non è soltanto del cuore ma qualcosa di ancora più complesso, succede una cosa appassionante. Lo dico da persona che scrive. Mi capita di usare parole dialettali che esprimono compiutamente, rotondamente, come un sasso, quello che io volevo dire, e non trovo l’equivalente nella lingua italiana. Non è solo una questione di cuore, è anche di testa. Testa e cuore". Andrea Camilleri
"Il dialetto non è solo la lingua delle emozioni. L’ho capito in Sicilia, da non siciliano, quando sono arrivato lì, professore all’università, accolto dalle famiglie dei colleghi. Si partiva con l’italiano, nel senso che tutti parlavano in italiano. Ma appena la discussione si accendeva – e quando c’era Sciascia capitava spesso – e magari si passava alla politica, improvvisamente cambiavano registro linguistico. Un po’ alla volta slittavano nel dialetto, e dell’italiano si scordavano. Gli uomini, per parlare di argomenti più impegnativi intellettualmente, usavano il dialetto. Perché a Venezia come a Palermo, quando il discorso si fa serio, si usa il dialetto". Tullio De Mauro
Cos’è la lingua, e cos’è