Le “svolte” della sinistra
L'utopia del possibile di Achille Occhetto
Bella la recensione di Gianni Cuperlo, sull'Unità del 31 agosto, del libro di Achille Occhetto:”L'utopia del possibile.Una conversazione con Carlo Ruta”, EdS.
Io, a differenza di Cuperlo la “svolta” occhettiana non l'ho sostenuta, anzi l'ho contrastata a Paderno Dugnano.
Io quella vicenda l'ho vissuta e la leggo così: la battaglia contro la svolta di Occhetto (1989-1991) andava fatta. Forse, come dicevano Asor Rosa e Bassolino e come inizialmente l'aveva pensata Ingrao. Non con la fusione nella “terza mozione” con i cossuttiani. Una battaglia per il rinnovamento e per un moderno partito di sinistra più che una battaglia per mantenere il simbolo con la “falce e il martello”, come nelle intenzioni “retrò” dei cossuttiani.
Ma tant'è. Sappiamo come è andata a finire.
E come si è riproposta, non molto diversamente, nei DS al momento della “fusione fredda” con il PPI con la nascita del PD nel 2007-208.
Anche lì la battaglia era per mantenere (e rinnovare) un legame forte con la sinistra europea e italiana che appariva scolorirsi nel pensiero veltroniano. E anche oggi si ripropone dentro il PD per mantenere e rinnovare i segni e i legami con il pensiero di una sinistra italiana e europea smarrita e che va ripensata. Non provenendo io dalla tradizione culturale del PCI, come molti ex-pci diventati improvvisamente nuovisti con Occhetto, modernisti con Veltroni e liberali con Renzi, ho sempre pensato che un partito sia uno strumento. Un mezzo e non un fine.
Qui stava la differenza storica tra stalinismo e sinistra europea. E qui sta la differenza tra una sinistra laica ed una “a pensiero unico”.
Inoltre chiara è sempre stata la nostra consapevolezza che in Europa questo mezzo, questo strumento sono i partiti di massa, non i partiti liquidi. Tutti i partiti “a sinistra” fino all'estremo Labour inglese e PD americano. Lì convivono e si confrontano idee diversissime ma che tutte contribuiscono a far vincere una parte. Si pensi al programma del “socialista” Sanders di contro al liberalismo filo wall-street della Clinton. Ecco io penso che il nostro “compito storico” sia stato (e ancora sia) non solo e non tanto far vincere “comunque” un partito. Anche questo certo ma soprattutto mantenere dentro un partito di massa quegli orientamenti e quelle politiche che servono alle classi lavoratrici, alle classi subalterne e a quelle più indifese.
Certo bisogna sapere che in caso di conflitto si dovrà scegliere!
Un conflitto che si è già aperto nella storia e che si può riaprire tra partito e masse, tra partito e classe, tra partito e lavoratori, tra partito e democrazia? In quel caso? Nessun dubbio: sempre dalla parte del popolo. Non mi appartiene il motto stalinista: ” è meglio avere torto col partito che ragione contro il partito”. Il tema della cittadinanza del dissenso dentro le sinistre lo abbiamo già affrontato e, in qualche misura, risolto almeno dal 1969 con l'editoriale di Luigi Pintor che diceva “Praga è sola”. Da allora siamo in mare aperto e senza certezze.
L'utopia del possibile di Achille Occhetto
Bella la recensione di Gianni Cuperlo, sull'Unità del 31 agosto, del libro di Achille Occhetto:”L'utopia del possibile.Una conversazione con Carlo Ruta”, EdS.
Io, a differenza di Cuperlo la “svolta” occhettiana non l'ho sostenuta, anzi l'ho contrastata a Paderno Dugnano.
Io quella vicenda l'ho vissuta e la leggo così: la battaglia contro la svolta di Occhetto (1989-1991) andava fatta. Forse, come dicevano Asor Rosa e Bassolino e come inizialmente l'aveva pensata Ingrao. Non con la fusione nella “terza mozione” con i cossuttiani. Una battaglia per il rinnovamento e per un moderno partito di sinistra più che una battaglia per mantenere il simbolo con la “falce e il martello”, come nelle intenzioni “retrò” dei cossuttiani.
Ma tant'è. Sappiamo come è andata a finire.
E come si è riproposta, non molto diversamente, nei DS al momento della “fusione fredda” con il PPI con la nascita del PD nel 2007-208.
Anche lì la battaglia era per mantenere (e rinnovare) un legame forte con la sinistra europea e italiana che appariva scolorirsi nel pensiero veltroniano. E anche oggi si ripropone dentro il PD per mantenere e rinnovare i segni e i legami con il pensiero di una sinistra italiana e europea smarrita e che va ripensata. Non provenendo io dalla tradizione culturale del PCI, come molti ex-pci diventati improvvisamente nuovisti con Occhetto, modernisti con Veltroni e liberali con Renzi, ho sempre pensato che un partito sia uno strumento. Un mezzo e non un fine.
Qui stava la differenza storica tra stalinismo e sinistra europea. E qui sta la differenza tra una sinistra laica ed una “a pensiero unico”.
Inoltre chiara è sempre stata la nostra consapevolezza che in Europa questo mezzo, questo strumento sono i partiti di massa, non i partiti liquidi. Tutti i partiti “a sinistra” fino all'estremo Labour inglese e PD americano. Lì convivono e si confrontano idee diversissime ma che tutte contribuiscono a far vincere una parte. Si pensi al programma del “socialista” Sanders di contro al liberalismo filo wall-street della Clinton. Ecco io penso che il nostro “compito storico” sia stato (e ancora sia) non solo e non tanto far vincere “comunque” un partito. Anche questo certo ma soprattutto mantenere dentro un partito di massa quegli orientamenti e quelle politiche che servono alle classi lavoratrici, alle classi subalterne e a quelle più indifese.
Certo bisogna sapere che in caso di conflitto si dovrà scegliere!
Un conflitto che si è già aperto nella storia e che si può riaprire tra partito e masse, tra partito e classe, tra partito e lavoratori, tra partito e democrazia? In quel caso? Nessun dubbio: sempre dalla parte del popolo. Non mi appartiene il motto stalinista: ” è meglio avere torto col partito che ragione contro il partito”. Il tema della cittadinanza del dissenso dentro le sinistre lo abbiamo già affrontato e, in qualche misura, risolto almeno dal 1969 con l'editoriale di Luigi Pintor che diceva “Praga è sola”. Da allora siamo in mare aperto e senza certezze.