Per il venticinquesimo anniversario delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, in cui persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Cormano, che da anni manifesta la propria attenzione e il proprio impegno sui temi del vivere civile e del contrasto al fenomeno mafioso, nell’ambito delle numerose iniziative della rassegna “La Legalità prima di tutto”, ha organizzato ieri, 19 Settembre un incontro con Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo, co-autori del libro “La tua giustizia non è la mia. Dialogo fra due magistrati in perenne disaccordo”. I due magistrati autori del libro, che facevano parte del pool di Mani Pulite, hanno maturato nel corso della loro lunga esperienza nelle aule dei tribunali opinioni diverse e talvolta contrastanti sulle cause dei mali che affliggono la giustizia nel nostro Paese e sulle possibili soluzioni.
E’ la giustizia che traccia i confini della nostra libertà, è la giustizia che indica il grado di civiltà e di cultura di uno Stato e delle sue istituzioni.
Il concetto di Giustizia ha ispirato pensatori di ogni epoca e momento storico ed è perennemente oggetto di interesse sia dal punto di vista filosofico che da quello politico.
Quello di ieri sera è stato un dialogo intenso, incalzante, ricco di affermazioni contrapposte, di modi diversi di vedere e di intendere tra due dei più noti magistrati del pool Mani Pulite. Tracciando un quadro del sistema giuridico italiano, sottolineando storture e incongruenze, proponendo rimedi e soluzioni senza mai nascondere le loro divergenze. I loro interrogativi, le loro diverse opinioni sono state l’occasione per riflettere sui problemi della giustizia, per capirne il significato, per riscoprire l’importanza del mondo del diritto, per riappropriarsi dell’indissolubile legame tra giustizia e libertà, per riflettere sul grado di civiltà del nostro stato.
Che cos’è la giustizia? Giusto è ciò che è legittimo, ciò che rispetta i principi del diritto convenzionale internazionale (Davigo) ma che non prescinde dall’esperienza, dalla cultura, dall’educazione di un Paese (Colombo).
Qual è lo scopo della pena? Quale la funzione del carcere? E’ l’unica soluzione per chi ha commesso un reato? E’ più utile punire o educare? Punire una persona con il carcere, costringerla per anni a vivere con persone che hanno la stessa difficoltà ad integrarsi nella società confidando nel fatto che una volta scontata la pena e tornato nella società il detenuto abbia imparato a rapportarsi con gli altri? Che cos’è la custodia cautelare? Perché la prescrizione? Introdurre anche in Italia il concetto di giustizia riparatrice? Se il colpevole ha la possibilità di rendersi conto di aver commesso un reato e di aver fatto del male ad altri è molto probabile che non ritorni a delinquere.
Il sistema giudiziario va riformato: è solo un problema di risorse o necessita di un modo diverso di organizzare il lavoro?
La corruzione si è sistematizzata, si è diffusa in maniera capillare: come intervenire?
Le forme di illegalità sono varie, ed estremamente vari sono i comportamenti illeciti che si possono commettere, e nel nostro vivere quotidiano, l’idea di illegalità è fortemente connessa all’idea di corruzione.
Ciò che attanaglia il paese e l’operatività di molti di noi è, se non la corruzione in senso proprio, il metodo “corruttivo”, clientelare, il meccanismo dello “scambio di favori” che permea ormai molti aspetti del vivere civile. E’ questo un fenomeno sociale, che nasce dalla mentalità diffusa per cui la violazione delle regole costituisce un male necessario per ottenere quanto dovuto e che si realizza mediante comportamenti proattivi ma anche mediante atteggiamenti passivi e connivenze che hanno sviluppato una cultura dell’assuefazione e della rassegnazione alla dinamica corrotta.
Non solo esiste una corruzione e un’illegalità ad alto livello, ma anche una forma di “corruzione” presente nel quotidiano di ognuno di noi, che solo noi possiamo estirpare, e dipende dal nostro comportamento, di ogni giorno.
A queste ed altre domande Colombo e Davigo danno dato risposte diverse, spesso contrapposte, a dimostrazione della loro diversa filosofia dell’essere umano e a conferma del significato necessariamente problematico del concetto di giustizia.