In queste prime settimane di “Governo del cambiamento” i media hanno fatto da “cassa di risonanza” ai soliti slogan del Ministro Salvini (vedi Acquarius ,Rom, Saviano, etc) e non hanno dato particolare rilievo a un possibile / presunto atto legislativo in gestazione presso il Ministero del lavoro : la bozza per regolamentare il lavoro tramite piattaforme digitali che il Ministro Di Maio ha definito “ Decreto Dignità “, riferendosi in particolare ai contratti precari dei fattorini per il cibo a domicilio.
Mi sembra opportuno richiamare l’attenzione, sia perché siamo di fronte al tema dei diritti sociali dimenticati / travisati dai recenti “Governi di centro sinistra”, sia perché il lavoro nell’era delle tecnologie digitali non è stato, a mio avviso, studiato e analizzato criticamente da chi avrebbe dovuto rappresentare/tutelare anche i “lavoratori digitali” ; ad esempio : “sindacati non pervenuti” , neppure al tavolo di lavoro per il “Decreto dignità”…..
Riporto di seguito uno stralcio dell’analisi, che condivido, di Marta Fana su “Il Fatto Quotidiano “ dal titolo “Legati all’algoritmo”:
“Il testo circolato al ministero appare all’avanguardia… La vera novità sta nel definire il rapporto di lavoro come subordinato se la prestazione lavorativa è svolta a favore di un’organizzazione (piattaforme, applicazioni e algoritmi) che appartiene al datore di lavoro o è elaborata per suo conto. Indipendentemente dall’autonomia nella scelta dell’orario di lavoro, di svolgere o meno la presentazione, ciò che definisce la subordinazione è la proprietà del sistema per cui si lavora e chi organizza il lavoro. Questa cornice non esclude la flessibilità oraria: sarà possibile stipulare contratti subordinati part time di poche ore al giorno. Si introducono però pieni diritti, dalla retribuzione alle tutele assistenziali e previdenziali, come ferie, malattia, maternità è il cumulo di contributi per l’assegno di disoccupazione….. Il Testo esclude tassativamente la retribuzione a cottimo.
Lo schema assume una forma molto simile al lavoro intermittente (o a chiamata) prevedendo come orario di lavoro da retribuire il tempo tra l’accettazione della prestazione e il suo espletamento, a cui si aggiunge un’indennità di disponibilità che va corrisposta per tutto il tempo in cui il lavoratore è effettivamente a disposizione della piattaforma. Un simile schema attribuisce diritti ai lavoratori e scoraggia le aziende di dotarsi di un esercito di “collaboratori “ che competono a costo zero per l’impresa….. È un cambiamento notevole ed è lecito aspettarsi reazioni aspre da parte delle aziende e di quanti hanno finora lodato un sistema dove i diritti sono sacrificati. Ma è altrettanto lecito rivendicare una competizione non basata sul costo del lavoro e sullo sfruttamento intensivo dei lavoratori. Se il modello delle piattaforme private non riesce a essere economicamente sostenibile remunerando adeguatamente i lavoratori che, nonostante la vulgata sugli sviluppi del digitale, rimangono il principale fattore di produzione di queste aziende, allora si pone il dubbio che rappresentino a oggi un sistema inefficiente per definizione. Si aprirà allora concretamente la possibilità che si sviluppino piattaforme anche metropolitane gestite dai lavoratori, nel caso del food delivery, da lavoratori e ristoratori, per garantire il servizio senza sacrificare i diritti.”
Aggiungo due note a questa riflessione:
- Il vero business del cibo a domicilio riguarda i ristoratori italiani: perché questa categoria non è al tavolo di discussione per il “Decreto dignità “? Perché anche questa categoria imprenditoriale preferisce esternalizzare a piattaforme multinazionali dalla dubbia efficienza la logistica del loro servizio? Nuove tecnologie ma vizi antichi .., e in questo caso faccio fatica a immaginare margini di guadagno così bassi da richiedere forza lavoro per le consegne a costo vicino allo zero…
- La Regione Lazio (Governatore Zingaretti ) ha presentato in questi giorni una bozza di Legge Regionale sullo stesso tema; non ho elementi per fare un confronto, ma apprezzo il fatto che i “territori “ si sentono in dovere di tutelare questi diritti sociali dimenticati, senza aspettare interventi di “ Istituzioni superiori “: un buon segnale.
