Giornata della donna: 8 marzo una festa o una celebrazione?

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Serve una giornata per sentirsi donne o per ricordare di esserlo?

Serve una giornata per festeggiare l’essere donna?8 Marzo_2

La giornata internazionale della donna, si celebra l’8 marzo per ricordare tutte le conquiste delle donne in campo economico, politico e sociale ma anche per non dimenticare le discriminazioni e le violenze a cui le donne sono state sottoposte in passato e a cui sono ancora sottoposte.

L’8 marzo non è un giorno di festa, ma una celebrazione per le donne che riuscirono ad ottenere tutti i diritti che, donne moderne di oggi, diamo per scontati:

Diritto di voto, uguaglianza sul lavoro, parità tra i sessi, tutte cose ottenute grazie alle lotte di tante donne del passato.

Perché è stata scelta la data dell’8 marzo?

Spesso si fa riferimento ad un incendio in una fabbrica di New York (la Triangle che produceva camicette alla moda) in cui morirono 146 persone (123 donne e 23 uomini) per la maggior parte giovani immigrati italiani ed ebrei.

Alcune donne avevano 12 – 13 anni e facevano turni di 14 ore per una settimana lavorativa che andava dalle 60 ore alle 72 ore, per un salario medio di 6 – 7 dollari la settimana.

62 vittime morirono nel tentativo disperato di salvarsi lanciandosi dalle finestre degli ultimi piani del palazzo di 10 piani, non essendoci altra via d’uscita. I proprietari della fabbrica infatti, tenevano gli operai chiusi a chiave per paura che rubassero o facessero troppe pause. Al momento dell’incendio i proprietari si trovavano al decimo piano e si misero in salvo, lasciando morire le donne e gli uomini rimasti intrappolati.

Il processo che seguì li assolse e l’assicurazione pagò loro 445 dollari per ogni morto. Il risarcimento alle famiglie fu di 75 dollari.

In realtà la data dell’8 Marzo non è legata direttamente a questo evento.

In effetti l’incendio della fabbrica ci fu davvero, ma accadde il 25 marzo 1911, alcuni anni dopo che la Giornata della donna si celebrava già.

Le donne iniziarono a chiedere uguaglianza già nel 1907 alla Conferenza Internazionale dei Socialisti di Stoccolma (presente Rosa Luxemburg) e successivamente alla Conferenza del Partito Socialista di Chicago, il 3 maggio 1908, quando furono invitate a partecipare anche le donne.

In mancanza di un oratore ufficiale, prese la parola la Socialista Corinne Brown, ferma sostenitrice dei diritti delle donne. Proprio durante il suo intervento, Corinne Brown affrontò il discorso dello sfruttamento delle operaie, che ricevevano un salario bassissimo a fronte di un orario di lavoro intollerabile. Parlò anche di discriminazioni sessuali nei confronti della donna e dell’estensione del diritto di voto alle donne.

Dopo quella conferenza, il Partito Socialista americano decise di organizzare una manifestazione in favore del diritto di voto femminile nell’ultima domenica di febbraio del 1909.

La prima giornata della donna fu così celebrata negli Stati Uniti il 28 febbraio 1909.

Ma non era ancora una manifestazione a livello internazionale.

Successivamente, a seguito di uno sciopero di 20.000 operaie di New York e proseguito per tre mesi (dal novembre 1908 al febbraio 1909), nel 1910, durante la Conferenza internazionale delle donne socialiste di Copenaghen, si decise di istituire in tutto il mondo una giornata che fosse dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne.

In alcuni Paesi europei, come Germania, Austria, Svizzera, Danimarca, la prima Giornata della donna fu quindi organizzata il 19 marzo del 1911.

La celebrazione della Giornata della donna fu interrotta durante la Prima Guerra Mondiale, ma l’8 marzo 1917 a San Pietroburgo, le donne russe si riunirono in una grande manifestazione per rivendicare la fine della Guerra, incoraggiando il popolo alle successive manifestazioni che portarono alla rivoluzione russa e al crollo dell’impero Zarista.

L’8 marzo 1917 è quindi rimasto il giorno in cui, anche grazie alle donne russe, ebbe inizio la Rivoluzione Russa.

Per questo motivo nel 1921, alla 2° Internazionale delle Donne Comuniste venne fissata come data celebrativa per la Giornata della donna, l’8 marzo.

In Italia la Giornata della donna fu timidamente celebrata per la prima volta il 22 marzo 1922.

L’iniziativa iniziò a diffondersi, però, solamente nel 1945, quando l’Unione Donne in Italia celebrò la Giornata della Donna nelle città italiane libere dal fascismo.

La giornata della donna è dunque nata come un giorno per celebrare i diritti delle donne, e il ruolo della donna nella storia e nella politica.  Un giorno per celebrare il coraggio e la determinazione delle donne.

Forse per le giovani donne di oggi, queste sono parole un po’ vuote di significato.

Ora io scrivo da donna libera, orgogliosa di esserlo, orgogliosa soprattutto di quello che le donne che mi hanno preceduto hanno fatto per far sì che io oggi possa godere della mia libertà.

Ma come è cambiato negli anni il significato di questa giornata?

  • Dal 1946 e nei primi anni aveva soprattutto una connotazione sindacale, legata alle condizioni di lavoro.
  • Nel 1972, alla manifestazione a Roma, per la prima volta si gridò lo slogan «L’utero è mio e lo gestisco io», per il diritto della donna a gestire in modo più consapevole tutta la vita femminile legata alla maternità.
  • Poi, dopo gli anni dell’impegno femminista e con la conquista di numerosi diritti, l’8 marzo ha assunto purtroppo un carattere sempre più commerciale.
  • Solo nel 2011, con la manifestazione nazionale organizzata dalle donne con lo slogan «Se non ora, quando?» è emersa l’esigenza di farla tornare ad essere una festa «impegnata».

Ma oggi ha ancora senso impegnarsi per i diritti delle donne?

Non esiste già la parità tra uomo e donna?

 Siamo tutti consapevoli della gravità della crisi economica, sociale e culturale e politica in cui versa l’Italia, e della complessità dei problemi da affrontare.

Ma vediamo anche che le donne sono quotidianamente colpite nei loro diritti e nelle libertà, che su di esse viene scaricato il costo maggiore della crisi e che si continua ad estrometterle dai luoghi delle decisioni.

Su 3 aspetti vorrei concentrare la vostra attenzione:

La parità di genere nelle assemblee elettive.

Nonostante le donne si siano dimostrate meno coinvolte degli uomini nelle pratiche di scambio di voto e nei casi di corruzione, la presenze delle donne nei consigli comunali, regionali e in parlamento è piuttosto ridotta. Soprattutto in posizioni di maggiore responsabilità.

Esiste quindi la necessità di ricorrere alle cosiddette quote rosa e garantire la loro presenza al 50% nelle liste elettorali. La questione è in ogni caso complessa, e condizionata da scelte politiche.

Interessanti, a questo proposito, sono le ricerche condotte sull’allocazione delle risorse nei Comuni in funzione del “genere” dei politici che li governano (sindaci e consiglieri comunali).

Dove predomina il sesso maschile, si opta per la giustizia, la pianificazione del territorio; dove domina il “rosa”, si previlegia la spesa per la scuola, le biblioteche, lo sport, l’assistenza agli anziani. Guarda caso, quello che solleva un po’ le donne dal macigno della gestione familiare.

La parità di genere sul luogo di lavoro.

La quota di donne nelle principali professioni cresce troppo lentamente. Facendo un paragone tra vent’anni fa (anni ’90) con la situazione attuale, per arrivare alla parità servono altri 40 anni!

  • Le donne aumentano nella categoria delle professioni non qualificate, nonostante in questi anni il loro tasso di scolarizzazione abbia fatto costanti progressi.
  • I magistrati donna aumentano con il contagocce.
  • Imprenditrici, amministratrici e dirigenti erano il 14% del totale nel 1990 e diventano il 21% nel 2011. Ben poca cosa.
  • Le docenti universitarie passano dal 27 al 36%. Com’è possibile, considerati gli ottimi risultati delle studentesse nelle università?
  • Aumentano con molta calma le donne medico.
  • Un po’ meglio per le donne avvocato, notaio, esperte di economia, gestione, commercio: la loro presenza raddoppia e arriva a sfiorare il 50%.
  • Nelle professioni tecniche si registra addirittura un arretramento delle posizioni rosa: dal 45 al 40%.

Eppure in questi vent’anni nel mondo del lavoro italiano sono arrivate due milioni di donne in più (dai 7,3 milioni del ’93 ai 9,3 del 2013).

Il fatto è che queste donne sono finite quasi tutte negli stessi settori in cui erano entrate le loro mamme.

Le donne non hanno sfondato il «soffitto di cristallo», e continuano ad essere “segregate” in alcuni settori. Non hanno modo di approfittare di tutte le opportunità offerte dal mercato.

Inoltre l’aumento delle donne nelle professioni non qualificate lascia intuire uno straordinario spreco di competenze.

E ancora, a parità di qualifica, le donne guadagnano meno degli uomini, in media circa il 9% in meno.

Quali sono le ragioni?

La prima intuizione di fronte a questi dati sconfortanti, è che il peso della famiglia e della maternità c’entri, e non poco, nonostante il tasso di natalità in Italia sia basso.

In tutti i Paesi europei, tranne in Finlandia, le donne mamme lavorano meno delle donne senza figli.

Ma c’è un paradosso che è tutto italiano: l’abbandono del lavoro dopo la nascita del bambino è una scelta/obbligo che raggiunge il 27 % delle donne occupate e si rivela spesso definitiva, a differenza di quanto avviene in altri Paesi europei.

Il tasso di abbandono del lavoro è poi decisamente più alto per le donne che hanno soltanto la licenza media e per quelle che vivono al Sud.

La motivazione è legata alla mancanza di servizi per l’infanzia e di flessibilità sul posto di lavoro (come part-time, telelavoro, congedi parentali), ma frutto anche di un pregiudizio culturale duro a morire.

L’idea dura a morire è che la “conciliazione” tra identità sociale, personale e affettiva (figli compresi) sia una questione squisitamente ed esclusivamente, femminile.

Questa idea, che trasforma la questione in un macigno, è che alla cura della famiglia impegna la donna circa 6 ore al giorno del suo tempo, mentre per l’uomo si limita a un’ora, quando va bene.

8 Marzo_3Terzo punto: Il femminicidio e la violenza sulle donne.

  • Le statistiche sono agghiaccianti, considerando anche che una donna su tre ha subito violenze fisiche o sessuali da parte del partner o di un familiare. Donne picchiate in casa, molestate in strada, vittime di bullismo sul web.
  • Nel 2012, 157 donne uccise.
  • Nel 2013, 179 donne uccise, in pratica una vittima ogni due giorni, un record negativo. Un incremento del 14% in un solo anno!

7 casi su 10 si sono consumati all’interno del contesto familiare o affettivo. Con questi numeri, il 2013 ha anche la più elevata percentuale di donne rispetto a tutte le vittime di omicidio, pari al 35,7% (179 sui 502). Nel 1990, le donne rappresentavano l’ 11% delle vittime totali.

A “mani nude”, per le percosse, per strangolamento o soffocamento: così nel 2013 è morta ammazzata una donna su tre persone uccise. Queste modalità di esecuzione sembrano manifestare non solo un più alto grado di violenza ma anche di “rancore”.

81 donne, il 66,4% delle vittime dei femminicidi, hanno trovato la morte per mano del coniuge, del partner o dell’ex partner; la maggior parte per mano del marito o convivente (55, pari al 45,1%), cui seguono gli ex coniugi/ex partner (18 vittime, pari al 14,8%) ed i partner non conviventi (8 vittime, pari al 6,6%).

  • Nel 2014 sono 115 le donne uccise in Italia e oltre 101 i tentati femminicidi.
  • Nel 2015 sono 128 le donne uccise, ancora prevalentemente dal marito o dal compagno. Ancora troppe, anche se il dato è in calo del 6,5% rispetto al 2014. 128 omicidi sui 411 omicidi totali nel nostro Paese, (31,13%). Ma è solo la punta dell’iceberg: prima di arrivare all’omicidio si registrano 6.945 atti persecutori a danno delle donne, 3.086 casi di volenza sessuale e ben 6.154 casi di percosse.

Nel mondo, si stima che il 35% delle donne ha subito una violenza durante la propria vita.

La Giornata della Donna serve ad affermare che le donne italiane e del mondo, non sono più disposte a subire passivamente questo attacco alle loro condizioni di vita e di lavoro e ad accettare ulteriormente la loro marginalità nella vita.

Dobbiamo incentivare le iniziative e le proposte per la realizzazione delle donne in ambito lavorativo, per il miglioramento delle condizioni di vita, per la difesa della loro immagine, per il contrasto della violenza.

Le donne, con la loro capacità di iniziativa e di cura, competenza e intelligenza, attenzione e cultura, sono un soggetto decisivo per aiutare l’Italia ad uscire dal degrado e ad avviarne la rinascita.  

Se crescono le donne cresce il paese.

8 MarzoOggi, più che mai, è urgente e necessario realizzare la partecipazione paritaria delle donne alla gestione della Cosa Pubblica, nelle istituzioni pubbliche e nelle assemblee elettive, nei luoghi decisionali a tutti i livelli.

Sono convinta che per raggiungere tale scopo occorre un’azione comune e congiunta di tutte le forze femminili organizzate e non.

Non possiamo farlo da sole, ci servono alleati per creare consapevolezza. Bisogna puntare sui maschi e sulla loro educazione, perché il problema è lì. Noi donne, dobbiamo educare gli uomini, i nostri figli, i nostri nipoti, al rispetto delle donne e dei loro diritti. Tutti i giorni.

Per quanto mi riguarda è 8 marzo tutti i giorni, tutti i giorni festeggio il mio essere donna e non ho bisogno di una data sul calendario che mi ricordi di farlo; tutti i giorni cerco di far valere i miei diritti e i diritti di tutte le donne.