
Articolo di Ottorino Pagani:
“Le inchieste sull’urbanistica “milanese” sollevano, indipendentemente dagli strascichi giudiziari, un tema di fondo, ben sintetizzato dalla magistratura in una delle prime indagini (Park Tower – 2023): “è stata vanificata la la potestà pubblica di programmazione territoriale a vantaggio di interessi privatistici”. Cioè, si pone la questione generale di come gli amministratori intendano esercitare il governo del territorio, ovvero di come intendono amministrare l’urbanistica.
La domanda, che è anzitutto politica, è se l’amministrazione pubblica (il Comune, la Città Metropolitana, la Regione) intenda guidare attivamente i processi di trasformazione del territorio, laddove siano rilevanti, o ritenga che il suo compito sia solo valutare i progetti proposti dagli operatori, sulla base di un generico interesse pubblico. Ci si chiede se il “Piano” come progetto di città o progetto di territorio, sia considerato un valido strumento per realizzare un’aspirazione collettiva o sia solo un sistema di regole modificabile se costituisce un impedimento alle trasformazioni. Non vuole essere una domanda polemica, è una domanda che interroga anche il ruolo della disciplina urbanistica: il “Piano” serve ancora?
Questa “questione” è, a mio avviso, comune a tutti i Comuni italiani, in particolare ai comuni delle Città Metropolitane, orfani di una “Provincia” impegnata nella tutela degli interessi pubblici sovra-ordinati attraverso piani urbanistici dettagliati e con valore di strumenti attuativi ( ad esempio, i “vecchi Piani cintura”); cioè “Piani” che assumono un ruolo attivo nei processi di una vera riqualificazione / rigenerazione urbana. Per questo, alla domanda finale del punto precedente dovremmo rispondere in modo affermativo, articolando che:
- è necessario avvalorare la definizione di urbanistica di Thomas Adams: : «L’urbanistica può essere definita come l’arte di pianificare lo sviluppo fisico delle comunità urbane, con l’obiettivo generale di assicurare condizioni di vita e di lavoro salubri e sicure, fornendo adeguate ed efficienti forme di trasporto e promuovendo il benessere pubblico.”,
- diventa allora urgente costruire dei “Piani nuovi”, partendo dalla ridefinizione degli standard qualitativi e dei servizi pubblici che dobbiamo realizzare per le sfide che ci attendono per i cambiamenti climatici e per ricercare una maggiore giustizia sociale. Utilizzando per questo:
- “La legge europea per il ripristino della natura”: il regolamento già in vigore che impone di ripristinare gli ecosistemi degradati entro il 2030, compreso il suolo.
- nuove regole, ad esempio: la “regola del verde: 3 – 30 – 300”. ognuno dovrebbe avere diritto a vedere 3 alberi, avere nelle zone più prossime coperture arboree che garantiscono il 30% di ombra, e avere a circa 300 metri da casa un parco, anche piccolo, ma un parco…”;
- nuovi piani per il diritto all’abitare: un simil “Piano Fanfani – INA casa” predisposto nel secondo dopoguerra; con una sostanziale differenza: un piano non per nuove costruzioni ma solo per le ricostruzioni, con un edilizia attenta ai costi e alla sostenibilità ambientale. Uno “strumento”che permetterebbe anche di consolidare il patrimonio edilizio pubblico aggiornandolo per i tempi che verranno.
- e soprattutto dovremmo cambiare approccio nel metodo di costruzione dei “Piani nuovi” e nel modo di valutazione delle proposte di intervento dei privati: per decidere non dobbiamo confrontarci con i vari progetti dei privati ma dobbiamo confrontarci con i “Piani” locali e sovra-ordinati che devono tutelare l’interesse pubblico, e solo in questo contesto analizzare le richieste dei privati.”