CINQUE SBERLE
Hai voglia di dire: il voto amministrativo non è sovrapponibile a quello politico, ci sono peculiarità precise città per città che ne condizionano il risultato, in campo ci vanno candidati sindaci locali e alleanze specifiche non riconducibili al quadro nazionale per cui non si può concludere tout court che questo voto sia implicitamente un giudizio sull’operato di governo.
Hai voglia di dire: ma al ballottaggio si sono presentati la metà degli elettori e che anche al primo turno hanno votato in pochi, che davanti ad un proliferare di liste civiche e l’astensione così alta un calo dei voti in termini reali verso il PD è da mettere in conto e che anche gli altri, quasi tutti, vanno indietro.
Hai voglia di dire: si, è una sconfitta. No è di più : è una sconfitta annunciata.
Elezioni regionali 2014 Emilia Romagna e Calabria: calo storico degli elettori, quasi 44% in Calabria, 38% in Emilia Romagna : in entrambe, vincono il PD ed il centrosinistra.
“Due a zero, palla al centro” (Renzi). “Le regionali non sono un test per il governo” (Boschi).
Quando si dice la lungimiranza politica.
Ma veniamo a ieri e proviamo a vedere se, almeno da questo voto, si potrà trarre un ragionamento politico un po’ più approfondito di quello visto in passato.
TORINO
Vince Chiara Appendino, candidata del Movimento Cinque Stelle con 202.764 voti. Piero Fassino, sindaco uscente, 168.880 voti. Ha certamente funzionato il voto “contro”, cioè quello che dalla destra, moderata e non, esclusa dal ballottaggio, si è riversato sulla candidata Cinque Stelle in funzione anti –PD.
E’ un fatto locale? E’ dovuto ad una condotta di governo dell’amministrazione di centrosinistra che non è stata all’altezza delle aspettative dei torinesi? E’ la figura così radicale del sindaco Fassino che ha spaventato gli elettori ? Non lo dico con sarcasmo, anzi: Piero Fassino è stato l’unico candidato sindaco a presentarsi a notte fonda dopo il risultato del primo turno e a ragionare davanti alle telecamere sul voto che si andava delineando, a Torino come in tante altre città, collegandolo alla ancora forte crisi sociale in atto nel Paese e alla sfiducia generalizzata nella politica e nelle istituzioni.
Risultato: si perde a Torino sì, ma anche a Pinerolo e San Mauro (dove vincono i Cinque Stelle), a Novara, Domodossola, Carmagnola, Trecate (dove vince il centrodestra) a Ciriè e Alpignano (dove vincono liste civiche). Erano tutte amministrazioni di centrosinistra. A Nichelino la sinistra-sinistra si riconferma alla guida della città. Forse c’è un problema più grande di Torino, e che riguarda almeno tutto il Piemonte.
MILANO
Vince Giuseppe Sala, candidato del centrosinistra, con 264.481 voti. Stefano Parisi, del centrodestra, raccoglie 247.052 voti. E’ l’unico testa-a-testa tra due candidati al ballottaggio nelle grandi città.
Quello di Milano è un buon voto, che fa il paio con la conquista di Varese. Su Milano, si può dire che dopo il primo turno si è avuta la capacità politica di rilanciare il perimetro della coalizione di centrosinistra che aveva portato alla vittoria di Giuliano Pisapia. Sala ha riportato i Radicali in coalizione e ha ottenuto un significativo appoggio del candidato della sinistra Basilio Rizzo. Il voto di Cagliari, col sindaco uscente eletto al primo turno con una coalizione integra del centrosinistra, qualche suggerimento lo ha dato.
Ma anche qui occorrerà guardare bene dentro il voto milanese e lombardo. Le zone più periferiche della città sembrano aver votato “meno” Sala. Città come San Giuliano e Vimercate cambiano segno politico, spostandosi dal centrosinistra al centrodestra la prima e al Movimento Cinque Stelle la seconda.
Se c’è un problema, qui pare proprio riguardare l’insieme delle aree periferiche dentro e fuori la grande Milano.
BOLOGNA
Vince il sindaco uscente Virginio Merola, candidato del centrosinistra, con 83.907 voti. Sconfitta la candidata leghista Lucia Borgonzoni con 69.660 voti.
Una passeggiata? Mica tanto. Qui, come a Milano, il candidato del centrodestra non è riuscito ad attrarre su di sé i voti del Movimento Cinque Stelle in funzione anti-PD. Ma, per bocca dello stesso sindaco rieletto, è arrivata una dichiarazione netta sulle difficoltà delle amministrazioni locali “che non possono governare le città con una politica di soli tagli operata dal governo centrale”. E che “qui il centrosinistra è vivo, ed il PD è al 35%, occorre rilanciare la nostra forza di Partito Democratico organizzato e non di un PD fai-da-te”.
Anche perché Cattolica passa al Movimento Cinque Stelle, Finale Emilia e Pavullo al centrodestra, Cento e San Giovanni Persiceto a liste civiche senza il PD. In una regione come questa registrare i sommovimenti serve anche a prevenire i terremoti.
ROMA
Ha stravinto Virginia Raggi, del Movimento Cinque Stelle, con 770.564 voti. Il candidato del centrosinistra, Roberto Giachetti, si ferma a 376.935.
Poteva andare peggio? Dopo tutto quello che è successo nelle vicende romane, si può dire che il risultato era sonoramente annunciato. Fanno specie due cose: la serietà di Giachetti che chiama su di sé una sconfitta di cui non è certo il principale artefice ed un Partito Democratico locale completamente assente.
A me resta ancora viva l’inchiesta sul PD romano svolta dal professor Barca il quale, dopo attenta e documentata analisi su iscritti, eletti ed organizzazione del partito, di fatto proponeva di azzerare tutto e di rifondare il PD romano su basi nuove. Io non so che fine abbia fatto quel documento, non vorrei che avessero usato già il lanciafiamme, che però in questo caso è servito solo a fare carta bruciata. Quella che invece serviva leggere, a fondo.
Il Movimento Cinque Stelle elegge sindaci anche ad Anguillara, Genzano e Marino. Non è solo un fatto romano.
NAPOLI
Stravince Luigi De Magistris con 185.907 voti, il candidato della destra Giovanni Lettieri si ferma a 92.174 voti. PD e alleati non pervenuti al ballottaggio.
Questione che riguarda solo Napoli? La gestione diciamo “sregolata” delle primarie non ha certo aiutato il voto al PD, eppure c’erano già precedenti significativi (la Liguria, ad esempio). Le alleanze “spurie” (il partito di Verdini) non hanno fatto che portare acqua al sindaco uscente. I candidati nelle liste PD che cercano voti di preferenza in maniera “disinvolta” (lasciamo alla giustizia stabilire il grado del reato commesso) di certo non invogliano a credere in un cambiamento per una politica trasparente e onesta. E fermiamoci qui.
PS: oggi 20 giugno 2016 ricorre il quarantesimo anniversario delle elezioni politiche del 1976.
Con un balzo di 7 punti in percentuale, il PCI si attestò al 34,37% con più di 12 milioni di voti raccolti.
Non vinse le elezioni, ma aprì la strada al governo di tante città, comuni, province e regioni e formò una classe dirigente cha dai livelli locali seppe porsi come reale motore del cambiamento e della modernità.
Quella stagione, ricca di aspettative, fu funestata dal terrorismo che ebbe come culmine il rapimento dell’on. Moro e dalla strategia della tensione legata alla guerra fredda in campo mondiale.
Ma quel voto resta, non come il segno di una protesta, ma di una profonda domanda di cambiamento.
Per onorarne il senso, proviamo a comprendere la portata della sconfitta di oggi, perché possa tornare non il PCI, ma quella voglia di innovazione e di trasformazione della società di cui c’è ancora bisogno, nell’interesse della collettività, del bene pubblico e della difesa dei diritti sociali e civili degli individui.