La civiltà dei dati?

Articolo di Ottorino Pagani:

“Di seguito l’articolo pubblicato da Luciano Floridi il 17/06/2025 sulla rivista “Civiltà dei dati” della Fondazioneleonardo del Politecnico di  Milano:

Il peccato semanticoL’intelligenza artificiale e le scienze cognitive si fondano su metafore prese in prestito da altri ambiti, generando equivoci tra linguaggio tecnico e senso comune, alimentando aspettative irrealistiche. Alle origini dell’intelligenza artificiale e delle scienze cognitive (inclusa la neuroscienza) c’è un peccato semantico. Come spesso accade, per creare il loro apparato concettuale tecnico, le due discipline sono emerse prendendo in prestito concetti e termini dalle scienze umane – per descrivere l’agire artificiale che appare come se fosse intelligente – e dall’informatica – per descrivere la vita mentale in termini di processi informazionali. Questo doppio “prestito concettuale” ha portato l’IA a raffigurare computer come se fossero delle menti, e le scienze cognitive a immaginare le menti come se fossero dei computer. Il cortocircuito ha generato notevole confusione a causa delle diverse accezioni e connotazioni che questi termini ereditano dai loro contesti originali. Parole come “apprendimento”, “allucinazioni” e “attenzione” hanno significati completamente diversi nell’IA rispetto ai loro usi comuni. Ad esempio, “apprendimento automatico” si riferisce alla capacità delle macchine di migliorare le loro prestazioni su un compito attraverso algoritmi statistici, e non ha nulla a che fare con l’apprendimento animale, e tanto meno umano. Questo antropomorfismo causa fraintendimenti sulle capacità e limitazioni dei sistemi di IA. D’altra parte, nelle scienze cognitive termini dell’informatica come “elaborazione dell’informazione”, “codifica” e “decodifica” sono utili per comprendere certi fenomeni cognitivi, ma facilitano una visione semplicistica del cervello (la metafora del computer) e riduzionistica della mente.

Questa confusione semantica ha conseguenze significative per la ricerca e la società, portando a preoccupazioni infondate e aspettative irrealistiche. La speranza è che i termini saranno sempre meno fuorvianti con il maturare dell’IA e delle scienze cognitive. In fin dei conti diciamo ancora che il Sole sorge e tramonta anche se sappiamo che non va da nessuna parte. Come John McCarthy fece con artificial intelligence, James Watt coniò l’espressione horse power (cavallo vapore) per vendere” la potenza dei motori a vapore rispetto a quella dei cavalli, ma nessuno si aspettava zoccoli e criniere nel cofano dell’automobile. Un giorno tratteremo i termini dell’IA e delle scienze cognitive in modo più accurato, riconoscendo che sono analogie utili per comprendere i fenomeni in questione, non descrizioni letterali. Mi auguro che questo numero di Civiltà dei dati aiuti a imboccare questa direzione scientifica e umanistica il prima possibile.”

Luciano Floridi direttore del Digital Ethics Center a Yale e professore all’Università di Bologna, è presidente della Fondazione Leonardo Ets. Fra i suoi saggi, “Filosofia dell’informazione” (Raffaello Cortina Editore, 2024)”

In attesa di “trattare l’IA in un modo più accurato” dobbiamo prestare molta attenzione alle strumentalizzazioni e alla propaganda delle multinazionali digitali: gli algoritmi “apprendono” dai dati storici, riflettendo i pregiudizi e gli stereotipi presenti nella società e nelle pratiche passate; e l’enorme quantità di dati utilizzati per il loro “addestramento” sono frutto della sorveglianza dei nostri comportamenti che le piattaforme immagazzinano e che gestiscono come una loro proprietà, non li condividono, mentre noi continuiamo a concederli con pericolosa noncuranza e senza alcuna normativa di tutela. Una “base dati” enorme, che non produce alcuna “intelligenza” ma solo la nostra profilatura che serve per generare i profitti dell’oligopolio digitale, una imponente sovrastruttura virtuale e fisica (i famosi data center) che non genera alcuna innovazione e non tutela alcun interesse pubblico; una sovrastruttura di cui possiamo farne tranquillamente a meno.”