Il vento populista soffia sulle democrazie liberali

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“Non vi è dubbio che a livello planetario stiamo assistendo ad una sorta di insofferenza, se non di rifiuto, nei confronti della democrazia liberale.

Conferme in tal senso, si hanno nel successo di Dudarte nelle Filippine, di Putin in Russia, di Modi in India, di Erdogan in Turchia e di Trump negli Stati Uniti.

L’insofferenza verso la democrazia è arrivata, purtroppo, anche in Europa, diffondendosi come un’epidemia dalla Polonia all’Italia, dalla Francia all’Ungheria, dall’Olanda all’Austria. Lo stesso governo della Merkel è sull’orlo della crisi per le posizioni fortemente populiste e xenofobe del suo ministro dell’interno e capo della CSU bavarese, Horst Sehofer.

In Europa abbiamo già leader autoritari al potere come Orban in Ungheria e Duda in Polonia, ed altri che si apprestano ad andarci. Le elezioni sono diventate un modo per uscire dalla democrazia, anziché essere un mezzo per risanare e problematizzare la politica in modo democratico. Gli elettori sono sempre più infastiditi dalle istituzioni indipendenti e sempre meno sono disposti a tollerare i diritti delle minoranze etniche e religiose.Si mettono, ormai, chiaramente in discussione alcuni temi centrali del liberalismo: il pluralismo etnico e religioso, l’ampliamento dei diritti degli individui e dei gruppi, la tolleranza della diversità sessuale e la neutralità etnica e religiosa dello Stato.

“I circa sessantadue milioni di americani che hanno votato Trump hanno votato per lui contro la democrazia. In questo senso il loro voto è stato un voto a favore di un “abbandono”. Lo stesso vale per Modi , per Erdogan e per le pseudoelezioni di Putin. In ognuno di questi casi, e in gran parte delle sacche populiste europee, troviamo un senso di insofferenza per la democrazia in quanto tale.  E’ su questa insofferenza che si basa il successo elettorale dei leader che promettono di abrogare tutte le componenti liberali, deliberative e inclusive delle diverse versioni nazionali della democrazia”. (Appadurai) Abbiamo sentito l’ideologo del premier ungherese, Victor Orban, Zoltàn Kovacs, lanciare l’idea della “democrazia illiberale” ossia l’idea che la “democrazia non deve essere per forza liberale”, e di rimando, un altro apprendista stregone di casa nostra, il prof. Becchi, ex ideologo dei Cinque Stelle, ed oggi, a quanto pare, vicino alla Lega, dichiarare che “la democrazia illiberale è una forma diversa di democrazia.

Non esiste da nessuna parte che la democrazia debba essere per forza liberale”, afferma con sicumera il prof. Becchi. La “democrazia illiberale”, consisterebbe, sembrano voler dire lor signori, in un regime che, in nome “della volontà del popolo”, conculca tutti i diritti di libertà pur mantenendo il suffragio universale. Non solo, ma vedono la stessa divisione dei poteri, tanto cara ai liberali, non come un modo per tenere sotto controllo chi si trova al potere, ma come un alibi grazie al quale le elite possono rompere le loro promesse elettorali. No, prof. Becchi, non ci siamo, la democrazia o è liberale o non lo è. Questa verità incontestabile è stata scolpita da Norberto Bobbio, statuendo (uso il termine in senso tecnico- giuridico) che “lo Stato liberale è il presupposto non solo storico, ma giuridico dello Stato democratico”, soggiungendo, per meglio farsi intendere che “Oggi soltanto gli stati nati dalle rivoluzioni liberali sono democratici e soltanto gli stati democratici proteggono i diritti dell’uomo: tutti gli stati autoritari del mondo sono insieme antiliberali e antidemocratici” (Democrazia e liberalismo).

Lo stesso Salvini, con apprezzabile onestà intellettuale, ha di recente dichiarato che “l’equilibrio dei poteri è un ostacolo al potere della maggioranza investita dal voto popolare”. Già il voto popolare. I populisti richiamano continuamente la sovranità popolare come l’unica ed esclusiva fonte di legittimazione del potere, un totem a cui tutti devono inchinarsi. Quante volte, nel corso di questi anni, abbiamo sentito un imprenditore milanese di successo “salito” in politica affermare che lui, unto dal popolo, non poteva essere giudicato da persone che avevano vinto un semplice concorso? Quante volte l’onorevole Santanchè, nelle sue innumerevoli comparsate televisive, ha declamato “la sovranità appartiene al popolo”? E’ un modo distorto di leggere l’art. 1 della Costituzione. E’ vero come afferma la Santanchè che, secondo il citato disposto costituzionale “la sovranità appartiene al popolo”, ma, ed è questo il punto, la “esercita nelle forme e nei limiti della costituzione”. Le destre leggono, di solito, solo la prima parte, ignorando o facendo finta di ignorare, la seconda. Affermare che il popolo esercita la sovranità nelle “forme e nei limiti della Costituzione”, significa che “fuori dalla Costituzione e del diritto non c’è sovranità popolare, ma arbitrio popolare” (Carlo Esposito), essendo “quella del popolo una sovranità costituita, non costituente (G. Guarino). Quando, si afferma, come fa giustamente il prof. Guarino, che la sovranità popolare fa parte del potere costituito (derivato), si vuol solo dire che essa trova la sua legittimazione, il suo fondamento, nella Costituzione, meglio nel potere che ha posto la Costituzione, ossia il potere costituente, che è il potere originario.

I nostri padri costituenti conoscevano bene la storia degli ultimi due secoli, disseminata di casi in cui la volontà del popolo era stata invocata proprio per la instaurazione della dittatura. Le folle che inneggiavano a Mussolini e ad Hitler non erano forse un popolo? “I “plebisciti”, le “adesioni plebiscitarie”, infatti, sono serviti “a fornire, non soltanto il titolo giuridico, ma la giustificazione ideologica di regimi assai più assoluti” (Passarin d’Entreves)”.