Lo scontento dei giovani democratici

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gd_linksitogenerico-400x250Qualcuno forse storcerà il naso ma noi non siamo abituati a nascondere la realtà. Per questo diamo voce all’appello dei giovani Pd: perché vogliamo un altro PD. Non tutti sono ripiegati o sdraiati sulle politiche governative “a prescindere” da come sono e da come funzionano. Quando si fanno delle cose bene si applaude, quando le riforme non convincono si critica. Oggi a criticare sono molti giovani democratici del PD. Dovremmo nasconderlo? Non dobbiamo ascoltarli? Sono gufi anche loro? Aprire gli occhi e le orecchie è il solo modo per aprirsi all’ascolto di quello che dicono gli altri che non sono d’accordo con noi. Troppo facile ascoltare quelli che invece ci applaudono. C’è una sostanziale differenza tra propaganda e politica che, forse, non tutti sono in grado di cogliere. Se ripubblico il testo della lettera non è per far polemica con un Ministro ma per carcere di capire il malessere di una generazione che scrive al suo ministro  partendo da considerazioni che vanno ascoltate. Anche a Paderno Dugnano. Di seguito il testo della lettera:

* * *

“Al Ministro del Lavoro Giuliano Poletti indirizziamo questa lettera che non avremmo mai voluto scrivere, ma che ormai, di fronte alle sue parole, non possiamo più trattenere.

Le sue recenti dichiarazioni riguardanti una certa categoria di giovani che sarebbe meglio perdere che trovare ci hanno lasciati a dir poco basiti. A nulla sono servite scuse e rettifiche, perché quello che per lei potrà rappresentare un piccolo “inciampo” politico, per la nostra generazione rappresenta invece una dolorosa quotidianità.

Sì perché lei è stata, con quelle affermazioni, l’ennesima persona che ha trattato con leggerezza e superficialità la difficile situazione dell’occupazione giovanile in questo paese.

Quello che lei ha detto è per noi come sale su una ferita aperta, brucia da impazzire.

Lei forse non capisce cosa significhi veder partire un fratello, una fidanzata, l’amico di una vita, o il compagno di banco delle superiori, per andare a cercare fortuna all’estero.

Lei forse non sa che quando questo accade, ciò che rimane a chi resta in Italia è solo un doloroso miscuglio di malinconia, senso di impotenza e rassegnazione. Ci chiediamo, noi che restiamo, cosa non siamo stati capaci di fare per tenere con noi le persone che amiamo, ma è evidente che non sia responsabilità nostra, o almeno non del tutto.

Nell’epoca dei mercati e della competizione globale, sarebbe certamente miope e riduttivo pensare che il fenomeno delle migrazioni economiche sia da considerarsi deprecabile o da arginare, e infatti non è in alcun modo questa la nostra intenzione.

Il tema secondo noi non è chi emigra, ma, piuttosto, PER QUALE MOTIVO LO FA.

Siamo la generazione dell’Erasmus, delle tecnologie che ci fanno parlare da un capo all’altro del mondo in tempo reale, del consumismo che ci rende tutti fin troppo simili, ed è ovvio che non siano nè le distanze nè le diversità di usanze e di panorama a spaventarci.

Viaggiare per noi è una costante, un’abitudine consolidata, un passaggio cardine della nostra crescita.

Partire per alcuni di noi è una scelta, per altri un’opportunità, ma per un numero sempre maggiore di ragazzi è diventata purtroppo una necessità.

Quello che ci spaventa quindi non è viaggiare, ma dover partire.

Dover partire perché qui le nostre ambizioni sono quotidianamente frustrate

  • da contratti precari che il Jobs Act evidentemente non poteva e non potrà eliminare,
  • da ambienti di lavoro conservativi e refrattari al cambiamento e all’innovazione,
  • da corsi di aggiornamento, lauree e master che sembrano non bastare mai,
  • da datori di lavoro che ci vedono come un peso più che come un’opportunità,
  • da genitori che sono la nostra forza perché ci sostengono ma diventano la nostra trappola quando non riusciamo ad emanciparci dal loro supporto,
  • da mutui sognati e desiderati che non possiamo permetterci perché incompatibili con i nostri contratti di lavoro.

Non siamo così ingenui da credere che qualcuno possa, con un colpo di spugna, cancellare questi problemi, ma non siamo nemmeno così stupidi da non capire che meriteremmo, non solo ascolto, ma innanzitutto rispetto.

Un rispetto che va oltre una serie di scuse formali, di circostanza, di falso imbarazzo.

Un rispetto che chi ha avuto la possibilità, ma senz’altro anche la fortuna, di poter fare ciò che vuole nella vita, dovrebbe essere in grado di accordarci…

Un rispetto che sarebbe adeguatamente rappresentato dalla capacità di capire quando è proprio il caso di farsi da parte.”